CONTESTO STORICO
   

Alla fine dell’Ottocento la vita politica e sociale italiana venne attraversata da una grave crisi, destinata a modificare gli equilibri politici maturati negli ultimi decenni del secolo, nel corso dei quali si era affermata una visione autoritaria del potere, che mirava principalmente a contenere le spinte e le rivendicazioni sociali. In particolare, il partito socialista fondato nel 1892 da Filippo Turati, aveva superato la vecchia visione anarchica, proponendosi come forza riformista, con un programma che rivendicava migliori condizioni di vita e di lavoro per le masse operaie e contadine. Anche i cattolici stavano superando la fase della protesta per la “questione romana” e grazie al movimento della prima democrazia cristiana, promosso da Romolo Murri, che si ispirava alla dottrina sociale della Chiesa e alla Rerum novarum di Leone XIII, chiedevano il riconoscimento delle libere associazioni dei lavoratori, il decentramento amministrativo, la protezione del lavoro, la difesa della piccola proprietà contadina, la diminuzione delle spese militari, la riforma tributaria, il disarmo generale e la fratellanza tra i popoli.

L’emergere di queste nuove forze politiche, che avevano un radicamento sociale e una fitta rete organizzativa, preoccupò non poco la vecchia classe dirigente liberale. Portavoce di queste preoccupazioni si fece Sidney Sonnino, esponente di primo piano del liberalismo conservatore italiano, che, con un articolo pubblicato sulla rivista “Nuova Antologia” del 1° gennaio 1897, denunciò la minaccia rappresentata da socialisti e cattolici nei confronti della Monarchia, manifestando l’esigenza di tornare alla lettera dello Statuto, che assegnava al re il pieno controllo del potere esecutivo e del potere legislativo, attenuando il peso del Parlamento. Queste indicazioni trovarono riscontro nella politica del governo presieduto da Antonio Di Rudinì, che adottò una serie di provvedimenti restrittivi nei confronti delle associazioni socialiste e cattoliche. Tuttavia, la situazione divenne particolarmente delicata all’inizio del 1898, a seguito dell’aumento del prezzo del pane, determinato sia dal cattivo raccolto di grano del 1897, sia dell’aumento dei noli marittimi che incidevano sui costi del trasporto del grano dall’America, sia dalla mancata abolizione del dazio sul grano da parte del governo. Numerose agitazioni popolari esplosero in tutta Italia, in particolare in Lombardia, Emilia, Toscana e Puglia. L’epicentro delle manifestazioni si ebbe a Milano dal 7 al 10 maggio, con scontri violenti tra dimostranti e forze dell’ordine al comando del gen. Bava Beccaris, che affrontò i dimostranti a cannonate, provocando 80 morti fra i civili. Sedata la rivolta seguirono una serie indiscriminata di arresti, vennero soppressi decine di giornali, e sciolte numerosissime associazioni operaie e cattoliche. Vennero processati e condannati esponenti socialisti come Turati e Anna Kuliscioff, repubblicani come Ramussi, cattolici, come don Davide Albertario, direttore dell’Unità cattolica di Milano. Dal suo canto il gen. Bava Beccaris venne insignito della croce di Grand’Ufficiale dell’Ordine di Savoia. Le dimissioni di Di Rudinì portarono il 29 giugno 1898 alla guida del governo il gen. Luigi Pelloux, che presentò una serie di provvedimenti legislativi che limitavano le libertà sancite dallo Statuto e un decreto che consentiva alle autorità di pubblica sicurezza di vietare le riunioni politiche, di sciogliere associazioni, di vietare lo sciopero degli addetti ai pubblici servizi e di limitare la libertà di stampa. La reazione delle opposizioni in Parlamento provocò il ricorso, per la prima volta nella storia parlamentare italiana, all’ostruzionismo, vale a dire all’utilizzazione di tutte le procedure previste dal regolamento per allungare la discussione ed evitare di giungere all’approvazione del provvedimento. In questo contesto anche numerosi parlamentari liberali, tra i quali Giolitti, assunsero una posizione critica verso Pelloux, che fu costretto, il 30 giugno 1899 a chiudere la sessione della Camera, facendo decadere il provvedimento.

Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento l'Opera dei congressi e dei comitati cattolici (la vecchia organizzazione del laicato cattolico, nata nel 1874), visse al suo interno una profonda frattura tra i giovani democratico cristiani e le correnti ancora legate alle istanze del vecchio intransigentismo. Lo scontro si ebbe nel 1903, al congresso di Bologna dell'Opera, ove la componente democratico cristiana portò alla ribalta problemi nuovi. Si parlò di leghe cattoliche del lavoro, di femminismo, di rappresentanze di classe, di questione meridionale. Il nuovo pontefice, Pio X, eletto nell’agosto 1903, di fronte a questa frattura, giudicò opportuno sciogliere, dopo trenta anni di vita, la vecchia organizzazione che aveva guidato il laicato cattolico italiano. Pio X, che voleva una Chiesa concepita come unità dei fedeli attorno ad una sola disciplina, promosse una radicale riforma dell'associazionismo cattolico in Italia. Infatti, con l'enciclica Il fermo proposito (giugno 1905), diede vita a tre “Unioni” (popolare, economico-sociale ed elettorale), a cui si aggiunsero più tardi l'Unione donne, sotto il coordinamento di una direzione generale dell'Azione cattolica italiana. Si trattava di un apparato organizzativo più moderno e più rispondente alle nuove esigenze di penetrazione tra i giovani, le donne, nella scuola e nel mondo del lavoro, nelle attività ricreative e sportive, evitando le tentazioni di un impegno nella vita politica. Si sviluppano in questi anni oltre alle organizzazioni mutualistiche, creditizie e alle casse rurali, per sostenere economicamente contadini e artigiani, anche un movimento sindacale ad ispirazione cattolica, che operò soprattutto nel settore tessile e nelle campagne attraverso la formazione delle cosiddette “leghe bianche”, guidate in Val Padana da Guido Miglioli.

L'interprete di questo difficile momento nella storia del movimento cattolico fu il sacerdote Siciliano, don Luigi Sturzo, che era maturato nella scuola della democrazia cristiana murriana e alla luce del suo impegno sociale e amministrativo in Sicilia tra Ottocento e Novecento, una chiara prospettiva per il futuro politico dei cattolici italiani. Sturzo comunicò il suo pensiero in un discorso pronunciato il 29 dicembre 1905 a Caltagirone, sua città natale. L’obiettivo da raggiungere era un partito dalla chiara fisionomia democratica, che doveva maturare dal basso, alimentarsi ai problemi reali e concreti del paese, diventare il risultato di una presa di coscienza e di una maturazione civile e politica dei cattolici. Un disegno lontano da integralismi, da confusioni tra politica e religione: i cattolici non respingevano le conquiste e i risultati delle rivoluzioni liberali e dell'unità nazionale, ma si ponevano alla testa di un moto riformatore, a livello istituzionale e sociale, che tenesse conto delle esigenze della società

 

 
 
 
 

 

 
 
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